mercoledì 28 aprile 2010

Intervista ad Assunta Cocco, ved. Pasqualetto

Nata il 3 febbraio 1902 a Ceggia (VE).

Intervista registrata presso la Casa di Riposo-Monumento di San Donà di Piave il 22 febbraio 1999. Presente la figlia. 

Nastro 1999/1 - Lato A 

Noi siamo scappati quando è andato giù il ponte e dopo è passata la gente di là ma ne è restata tanta anche di qua. Io ho fatto in tempo a passare di là del ponte.
Siamo andati a Legnago, ma a Quarto d'Altino c'è stato un incidente, ci è venuto il treno addosso dei signori che scappavano da Ceggia. Ci sono venuti addosso da dietro. Noi eravamo partiti da San Donà con il vagone di coda, e dopo è venuto l'incidente ... (il segnalatore) ha sbagliato segnale, ha dato via libera che avrebbe potuto entrare in stazione, ma in stazione c'eravamo noi fermi.
Da là hanno portato i feriti a Venezia; poi chi è morto e chi è rimasto vivo ... e da là ci hanno portato col treno, con la croce rossa. Io ero rotta dappertutto, ma mi hanno messo a posto.
Nell'incidente è morta mia mamma (Luisa Teresa) e una mia sorella (Luigia) di 14 anni; mio papà è morto a Venezia sotto operazione, gli hanno segato tutte due le gambe; poi un'altra mia sorella, quella muta, è morta a Napoli con la spagnola.

[La voce che interviene è della figlia, moglie di un collaboratore volontario della biblioteca del seminario vescovile di Treviso, dove l'ho incontrata]

A Napoli mia sorella l'ha salvata un capitano che era nell'ospedale di loro (militare), dei feriti della guerra ... e là trasportavano i feriti, c'erano i dottori e c'era un capitano che ha curato anche me. Tre mesi sono stata là, dopo, ferma ... a Napoli.
[A Napoli aveva anche uno zio - precisa la figlia - che era un pezzo grosso, un ingegnere e le ha fatte ricoverare. Si è interessato lui, perché alle ragazze erano morti papà e mamma. Si è interessato e le ha fatte alloggiare in questa grande villa dove c'erano anche i capitani, ed erano loro che le curavano. Questo me l'ha sempre raccontato, mia mamma ... non ricordo come si chiamasse questo zio].

C'era mio papà che faceva il guardiano delle ferrovie ... dopo ci hanno portati via da Venezia e sono andata a La Spezia e là fin che si è guariti. Dopo, uno zio da Ceggia che era fratello di mia mamma, che era fra quelli che ci sono venuti addosso con il treno, ci ha messi a posto e ci ha fatto andare a Napoli.
[Figlia: Adesso collego ... perché questo treno che gli è andato addosso era pieno di tutti "i siori" di Ceggia che volevano scappare di corsa. A Quarto d'Altino i ferrovieri hanno sbagliato e il treno ha tamponato quello di mia mamma che era fermo in stazione. E su questo treno dei signori c'era anche il fratello di mia mamma, un certo Antonio Tafon, che era campaner].

A farci andar via sono venuti con l'ordine, con il vagone davanti e con la macchina delle ferrovie. E là che abbiamo caricato quello che abbiamo potuto caricare e poi l'abbiamo perso lo stesso, perché sul disastro abbiamo perso tutto, lo stesso.
Ci hanno obbligato a lasciare il servizio e partire perché ormai il ponte era ... e facevano presto i tedeschi a venire avanti. Allora tutti scappavano.
A dirci di scappare sono venuti quelli di servizio in ferrovia, il capostazione... [Figlia: il nonno era in ferrovia e abitava su un casello a Ceggia, faceva il casellante] ... il casello n. 41, verso Gainiga ... e io sono rimasta tutta rotta, rotta il femore, rotta qua (braccia), qua ero tutta portata via fin qua, la testa ... dappertutto, dappertutto, dappertutto...

E avrebbero potuto darmi la pensione di guerra e invece mi hanno dato un po' di pensione perché ero rimasta orfana ... fino ai 17 anni, e dopo basta. E con quella mi sono sposata con questo qua, un ferroviere, che era venuto a casa da militare ed è stato trasferito a Ceggia; là ci siamo innamorati e ci siamo sposati, si chiamava Pasqualetto Ernesto ... poi è andato in sezione a Venezia, negli uffici.
Abbiamo sentito solo il colpo che sono venuti dentro e basta.

[Figlia: con loro c'era anche un'altra sorella della mamma, Amelia, e una cugina che si chiamava pure Amelia, che gridavano perché avevano visto la mamma morta. Loro due si erano salvate perché erano scese a fare la pipì].

Eravamo a Portici, non a Napoli. Quando che si passava noi e un bambino piangeva gli dicevano: «Stai zitto, sennò ti faccio mangiare da un profugo!». Sì, perché la gente del posto erano gelosi perché vedevano che noi eravamo "preziosi", che ci trattavano bene. A Portici vivevamo per conto nostro, con mio zio, non avevamo amicizia con nessuno [...]. Si ballava a volte fra noi ragazze, quando avevano quegli organetti, i napoletani, ce lo suonavano apposta perché si ballasse, perché imparassimo.
[Figlia: erano lei, sua sorella Amelia e le sue cugine. Erano in tre sorelle, una era morta (Maria, quella la muta), una era lei, una era Amelia che si era salvata a Quarto d'Altino, e l'altra era Luigia, quella che morì nell'incidente].
D. Che ricordo ha del suo periodo da profuga?
R. Si viveva sempre con il desiderio di venire a casa ancora, e basta. Quando siamo ritornate abbiamo trovato il casello delle ferrovie che era mezzo nudo, gli avevano levato balconi per bruciare. I tedeschi, hanno bruciato roba perché non c'era legna. Il tetto però c'era.
[Figlia: al ritorno, per vivere, le due sorelle ... avevano anche due fratelli che erano a lavorare tutti e due in ferrovia, ritornati dalla guerra sono andati a lavorare in ferrovia e le hanno mantenute, là nel casello].
[Al ritorno] c'erano i contadini che ci aspettavano; si andava un po' da una parte un po' dall'altra per le famiglie, così abbiamo avuto un po' di aiuto.

Quando siamo partiti era di sera, alle nove di sera. Era buio ... io sono stata tirata fuori da sotto le macchine, ero tutta lavata dall'acqua del treno, perso i capelli, perso tutto ... l'acqua era quella della caldaia del treno che ci era venuto addosso.
Beh, mi ricordo tutto, io, del passato! Tutto mi ricordo. Passato bene, passato male, passate di tutte...
I napoletani erano anche bella gente, ci volevano anche bene, bastava che ci dessero il pane, perché si aveva fame. C'era carestia quella volta, però abbiamo sempre mangiato, non abbiamo patito la fame.

[Figlia: quella volta nell'incidente sono morti in molti. Mi diceva che da Venezia li portavano via di notte, con barche piene di morti].

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