venerdì 16 aprile 2010

Intervista a Maria Cantarut

Questa testimonianza fa parte di una serie di interviste effettuate il 27 novembre e il 28 dicembre 1998 a un gruppo di vecchi presso la casa albergo I Faggi, via Micesio 31, Udine - (animatrice Romina ...).



Maria Cantarut, 1905, Brazzano di Cormons (GO)

Nastro 1998/21 - Lato A         Audio originale integrale da 05:27      27 novembre 1998  


Brano audio selezionato Io, se posso dire una parola, avevo dieci anni e abitavo a Brazzano di Cormons, nell'Alto Friuli.
D. Come si chiama?
R. Maria Cantarut, con la t finale, il cognome del mio papà; dopo ... gli italiani, Mussolini, l'aveva cambiato in Cantarutti.
06:24 Noi eravamo l'ultimo paese austriaco verso il confine italiano; è a due km, un po' meno, dal ponte del Judrio; di qua erano tedeschi, di là erano italiani. Di qua c'era la finanza austriaca, e io andavo a scuola con la figlia del capo, e di là erano gli italiani, sicché il ponte ci separava, e basta.
E quando [gli italiani] sono entrati, la mattina del 24 maggio, noi si aveva in piazza due grandissimi pioppi, così, e i tedeschi li han minati per impedire il passaggio agli italiani. Invece gli italiani li hanno spostati, quando sono entrate le truppe italiane. E noi tutti con i secchi a portare acqua perché avevano sete, questi militari e ci dicevano:
07:50 «Gridate viva l'Italia, altrimenti quando torniamo indietro ... adesso andiamo a conquistare Gorizia e Trieste ... e quando torniamo indietro vedrete cosa vi faremo!»
Loro volevano che gridassimo viva l'Italia, perché noi eravamo austriaci e dovevamo essere contenti che venivano gli italiani.
E invece quando erano a Capriva, Lucinico, là hanno cominciato già a fermarli, i tedeschi. Hanno cominciato a fermarli, e prima di entrare in Gorizia ... appena del '16, in agosto!
Nel frattempo noi siamo sempre rimasti in paese, e le bombe austriache arrivavano sempre a Cormons, alla stazione, per i treni. Anche da noi a Brazzano, le bombe sono entrate in un cortile, ma non hanno fatto male alla gente. La maggior parte arrivavano, tutti i giorni, alla stazione di Cormons e più in una grande vigna che avevamo proprio davanti alla nostra casa, di un signore, Zorzon, non so se lei sappia...

09:18 Dopo abbiamo avuto la ritirata. Nella ritirata, quando gli italiani sono scappati, quando li hanno mandati, sì, quando hanno dovuto andare sul Piave ... quella sera là, per andare da Brazzano a Cormons (Brazzano è una frazione), per andare a Pòvia, là avevano grandi magazzini di munizioni. 
Quella sera là quando scappavano, che data era? (fine ottobre 1917 - Pavan -... o novembre? - Cantarut - ma!) hanno fatto scoppiare tutte le munizioni e il cielo per fortuna quella sera ... insomma tanta pioggia, un diluvio di pioggia era. Per fortuna, perché, ogni tanto che scoppiavano queste munizioni, e pareva che scoppiasse il mondo, tutto il cielo fuoco, tutto un grande fuoco, così era anche dell'ultima guerra, il 25 [aprile?] a Palmanova, da quelle parti là, che facevano scoppiar le munizioni...
10:52 Poi c'erano gli arditi che giravano, gli arditi. Perché erano tutti delle prigioni gli arditi, facevano male a chi ... dove andavano loro facevano male ai bambini, mettevano bombe sulle porte e i bambini così ... dei "peretti", pieno di bombe, e tanti bambini le prendevano in mano, scoppiavano e si ferivano, li ammazzavano insomma, morivano.
D. E questo, durante la guerra?
R. No, nella ritirata...
D. E perché lo facevano?
R. Gli arditi? Per dispetti, per far morire i tedeschi, perché loro scappavano, si ritiravano sul Piave. 
D. Vi consideravano tedeschi. 
R. Ancora tedeschi ... si ritiravano e per questo dappertutto buttavano queste bombe, andavano per le case a rubare. Anche in casa nostra, han visto nella cantina che si aveva la mensa, non la mensa, la sussistenza ... e han visto due prosciutti che aveva mio papà. Son venuti di notte, verso le tre, dentro, per portare via questi prosciutti, e mio papà è venuto giù dalla camera. Beh, insomma, correndo giù con la roncola in mano, e gridando ... per fortuna han creduto chissà cosa e son scappati, perché potevano ammazzarci tutti, invece.
D. Siete scappati, voi?
R. Non siamo scappati. Aspettavamo di andar via all'ultimo momento, si dormiva per terra in casa, nei grandi sacchi di biancheria, di vestiti, di tutto, che si aveva messo là per scappare. Quelli che sono scappati dopo sono rimasti sul Tagliamento ... lo sa lei, conosce del Tagliamento? che han fatto saltare il ponte...
D. Qualcuno del paese di Brazzano è scappato, o sono rimasti tutti?
R. Sono scappati anche di Brazzano e Cormons, tanti. Invece noi siamo rimasti là. Mio papà aveva campagna, non era stato fatto abile alla guerra perché aveva tanti reumatismi. 
13:39 Appena venuta la guerra, del '14, è stato chiamato a Lubiana, ma aveva le mani tanto gonfie, le ginocchia tanto gonfie. Insomma, l'hanno calcolato ... eravamo già in sei figli, l'hanno mandato a casa, perché era veramente ammalato di artrosi.
Nella ritirata, in novembre là [del 1918] quando i tedeschi si ritiravano dal Piave, sono venuti fin a nascondersi [in casa nostra, dei tedeschi] perché avevano paura che gli venissero contro gli altri.
Aspetti che le dico una parola ancora su quella sera del «cielo di fuoco». Ogni tanto grandi scoppi. L'indomani, per fortuna c'era tanta pioggia, tanta pioggia, e le strade erano gialle di gas, tutte gialle. Se non ci fosse stata la pioggia si sarebbe morti tutti, con tutti questi gas; erano tutti gas asfissianti e si sarebbe morti tutti. Invece non è morto nessuno dei civili perché pioveva; perché pioveva ci siamo salvati.
15:26 Il cielo era tutto una fiamma, tutto una fiamma... 
Ma questo è stato anche quando ... di questa guerra, sa. Quel cielo! Io ero a Palmanova con mio marito morente, l'ultimo (suo giorno di vita), morente. L'abbiamo portato, perché gli abbiamo dato tanti sulfamidci, aveva l'influenza e insomma piano piano, sei settimane è stato a casa, e l'ultimo giorno han detto: «Ormai muore, guardate se potete fare qualche cosa in ospedale». L'abbiamo portato con la macchina che aveva una croce rossa sopra ed è morto in ospedale. E quella sera là ... era anche che scoppiavano le munizioni nei grandi magazzini di Palmanova e il cielo era tutta una fiamma. Era del 1945, il 30 aprile.
Nel 1918 i tedeschi scappavano, perché c'erano gli italiani che li rincorrevano e mi ricordo che in due soldati tedeschi sono andati a nascondersi - che si aveva un cunicolo, là - e si sono andati a nascondere come pazzi, insomma, perché sennò li ammazzavano, e così si sono salvati, perché gli italiani non li hanno trovati. 
Dopo più avanti non so, perché andavano lentamente. Dopo di Cormons, Capriva, Lucinico, fino a Gorizia.
17:38 D. Voi, durante l'anno in cui ritornarono "i tedeschi", nel 1917-18, come vivevate a Brazzano?
R. Male, male. C'erano dei prigionieri russi, e c'era tanta di quella fame, per tutti, che a noi bambini ci ammazzavano i topi e con le bucce di cipolla, di patate, che questi prigionieri se riuscivano ad uscire da questo campo di concentramento - che era proprio di fronte a noi, bastava attraversare la strada - andavano a ricercare dappertutto. Ci davano queste marmitte, in cui mangiavano, per far bollire i topi con bucce di patate, con bucce di cipolla, una zuppa, per loro ... che i miei genitori ci sgridavano. Ma facevano tanta pena, perché morivano di fame.
D. Ma a lei non faceva schifo a vedere questi topi?
R. Altroché, ma non si guardava. Ci pregavano in ginocchio che si portasse a casa a far cuocere, e si faceva anche questo.
D. Di preciso, dove abitava?
R. In via 24 maggio, adesso si chiama. A quattro passi, a due chilometri dal ponte, dal Judrio, dove era proprio il confine austro-italiano.
La mia casa di allora c'è ancora, è un pochino ... ci sono dei parenti dentro, è una bella casa, l'hanno rimodernata ancora e c'era davanti un orto, che adesso hanno fatto giardino. Poi c'era un grande portone che entravano i carri. Adesso ci sono dei miei cugini, dei miei parenti, sempre di cognome Cantarut. È in piazza 24 maggio, adesso abitano proprio in piazza, per andare al cimitero.
C'erano tanti prigionieri, russi, d'ogni sorta insomma, c'erano ... dalla ritirata di Caporetto in poi.
21:29 D. Il 4 novembre ricorda qualcosa, quando finì la guerra?
R. Tutti che erano contenti e felici perché si finiva la guerra... [non ricorda...]. So che dopo, quando c'erano gli italiani, io avevo tredici anni e si andava a ballare che avevano fatto una specie ... facevano dei festini questi italiani, che cercavano di sollevare un po' questa popolazione. [...] [22:54 - fine brano]



Nastro 1998/21 - Lato B                  27 novembre 1998   


Audio originale integrale [da 25:38 a 25:59] Da noi a Brazzano arrivavano ogni giorno le bombe... e non c'erano rifugi, quella volta.

Riprende il racconto da 31:11 
Nel nostro cortile era pieno di muli... e portavano su i viveri a Lucinicco e lasciavano lì sacchi di fagioli, tanto rum, tanta cioccolata...
31:54 Venivano giù i militari da Gorizia pieni di colera, che mia nonna ha preso il colera e l'hanno portata via in lazzaretto che era vicino a Cormons, in campagna fuori Cormons.
32:39 Dopo sono andati via i muli ed è venuto l'autocentro, e aggiustavano i camion nel nostro cortile, perché era grande. Fino alla fine della guerra, fino a che sono scappati, fino alla ritirata. 
Poi c'è stato un periodo che ci portavano giù i militari pieni di colera, a Brazzano di Cormons. 
33:17 Li portavano giù pieni di pidocchi. Tanti pidocchi, correvano dappertutto in casa e io me ne son presa tanti, che a forza di grattarmi ero piena di croste. 
Avevamo un focolare, con le panchine attorno e correvano i pidocchi anche lì. Mia mamma mi ha fatto rasare i capelli e seppellire la treccia, avevo una bella treccia!
34:54 Io sono nata a Giassìco e dopo abitavo a Brazzano. Giassico: un paesetto piccolo, quattro case. [...] 






Nastro 1998/23 - Lato A   Audio originale integrale [da 26:41 alla fine]               28 dicembre 1998

Mio papà aveva tanta campagna, ma io non ci andavo. Io sono andata, da piccola, quando avevo 14 anni, a imparare a cucire; quando potevo, perché eravamo in 12 figli. Io ero la quarta e dopo sono venuti altri otto. Stavo in casa e un po' andavo imparare a cucire, al pomeriggio.
Quando mi sono sposata ho fatto la casalinga; dopo è morto mio marito l'ultimo giorno della guerra, nel '45, con setticemia, le medicine sbagliate. Così ho dovuto portarlo quella mattina, nel fuoco degli aeroplani che venivano a bombardare, ed è morto alla sera mentre il cielo era tutto un fuoco e scoppiavano i magazzini di munizioni, come a Brazzano, come l'ultimo giorno della guerra del '15... [la ritirata degli italiani dopo Caporetto rappresentò - di fatto - per gli abitanti sulla linea del Carso-Isonzo, l'ultimo giorno della prima guerra mondiale].
Che dopo nella ritirata dei tedeschi, degli austriaci [si riferisce alla 2.GM)] ... i magazzini di Palmanova erano fuori, nei campi, fuori nella campagna, un po' distante dalla strada. E quella sera han dato fuoco, era il 30 aprile del 1945. Bastava che dessero fuoco a una cassetta che poi... Erano i tedeschi ad incendiare i magazzini, perché stavano ritornando gli italiani.
Mio marito, Gualfardo Tomba, era di origine di Cormons. Un nome tedesco, era del 1902. 
30:05 Era stato in guerra, ma dopo, con tante raccomandazioni, col federale che era lì a Cervignano (perché io abitavo, dopo, a Cervignano) il federale, che poteva tanto - pagandolo - ma io non so cosa gli abbia dato, per mezzo di una persona, ha potuto... Era già a Cividale, che ha dormito l'ultima notte sulla paglia, perché doveva partire col "Conte Rosso" quel grande bastimento che è stato affondato e son morti tutti, e lui era destinato proprio con quello.
Il fascismo aveva cambiato il mio nome in Cantarutti. Mussolini cambiava tutti i nomi come il mio, perché gli pareva che fossero più tedeschi che italiani, però poi sono tornata Cantarut, e Cantarut ce ne sono tanti in Friuli, c'è anche una drogheria in via Poscolle.
30:33 Mio padre è stato chiamato subito, ancora nel '14, in agosto. Allora lui era pieno di reumatismi. Era a Lubiana che doveva partire per la Russia, ma aveva già sei-otto figli e lui era giovane, insomma, meno di quarant'anni, perché purtroppo ne aveva uno ogni anno. Era pieno di reumatismi. Per non partire per la guerra andava, io mi ricordo che raccontava, andava in bagno e si batteva le mani, si fracassava più che poteva per essere gonfio, per essere, insomma come si dice ... e no, non è partito. All'ultimo momento che lo vedevano tutto gonfio, che non poteva camminare, le ginocchia, le mani grosse così, gonfie. Era pieno di reumatismi, lui già da giovane andava sempre a Abano, faceva sempre le cure ogni anno e insomma, gonfio come era l'hanno scartato. 
Mio papà era del 1874. Si sbatteva, perché voleva venir casa, lui, perché piangeva al pensiero di avere tutti quei bambini a casa. Noi siamo stati in dodici e all'epoca della guerra con l'Italia, che è durata tre anni, eravamo... aspetti... l'ultimo bambino è nato del '17, proprio in tempo di guerra. Mio papà era un tipo così, quello che Dio vuole. Uno dietro l'altro; ma, cosa vuole, tenevano come potevano, questi bambini, seduti per terra...
36:28 D. Ma cosa diceva della guerra, che era lì vicino, suo papà? Degli italiani, che commenti faceva su questi italiani?
R. Eh, lui non era per l'Italia, lui era austriaco. Ma, insomma, sapeva darla intendere! C'era vicino lì, vicino a noi, proprio nella casa vicina, un maresciallo dei carabinieri con i carabinieri ... e di là di noi era il prete, che abitava. 
37:08 Là c'erano profughi di Mossa; c'erano tre sorelle bellissime e i carabinieri per poter, perché andavano alla sera... 
Quell'anno, il primo anno o due anni, insomma, son nati 70 bambini [illegittimi, naturali], a Brazzano, mi ricordo che sentivo, sì, perché io allora ero bambina, ma cercavo di capire, capivo lo stesso.
Sono nati tanti bambini perché cadevano come sciocche, sì. Si davano ai militari, per la cioccolata, per il formaggio. 
Noi avevamo la sussistenza, perché avevamo un grande, grande cortile, con un grande orto, e anche delle viti e dell'uva e di lì passavano i carabinieri per andare nella vigna del prete e poi da lì andavano da queste ragazze.
38:40 Il prete era uno della Carnia, perché avevano internato l'altro. L'avevano mandato a Gaeta. Quello che c'era prima della guerra si chiamava Supancich, era di Gorizia, slavo. L'hanno internato subito e poi hanno portato uno della Carnia e quello della Carnia era tremendo, voleva internare anche mio papà e il maresciallo diceva: «No, quell'uomo lì è un bravo uomo, lo conosco io, quello lì non si tocca», e in grazia di questo maresciallo dei carabinieri mio papà è rimasto a casa.
Mio padre lasciava passare tutti i carabinieri per la vigna e i carabinieri chiudevano un occhio. Però lui non si intrigava di nessuna cosa, era un tipo tanto, tanto buono; tanto buono. 
In casa nostra i commenti che faceva ... lui aveva il quadro della Triplice Alleanza (Guglielmo, Francesco Giuseppe e Vittorio Emanuele), la Triplice Alleanza, che l'avevano fatta qualche anno prima, e noi si aveva la fotografia. Lui non l'ha mai tirata via e nessuno gli ha detto niente. Eran gentili, eran gentili, i militari italiani ... e noi si aveva la sussistenza, che portavano su con i muli della Sardegna, avevamo un disastro, insomma di tutti questi muli, che sporcavano dappertutto e portavano su il mangiare per i militari, a Mossa, Capriva, Lucinico.
I muli erano di origine sarda, con quei carretti che hanno loro. 
[...]
43:15 Zorzon, a Brazzano, era proprietario di tanti campi, tutto lungo la strada. C'era il fosso, poi la muraglietta, un po' più alto la ringhiera e avevano tanti tanti campi, lì, tutto, tutto, fino in fondo, tutto il paese di Brazzano. Era un negoziante di alimentari, era ricco; avevano un mille campi, erano molto ricchi.

44:03  Brano audio selezionato
D. Quando è stata presa Gorizia, dagli italiani, suo papà, cosa ha detto?
R. Era del '16, in agosto. 
Io stavo male, perché avevo perso la nonna col colera. Me l'avevano avvelenata, perché son venuti giù dal fronte e hanno portato giù il colera. 
Mia nonna aveva preso un po' di dissenteria, così, allora si è dovuto chiamare il medico. Ma lei stava quasi bene, già, ormai; e ha detto anzi a mia mamma: «Fammi un po' di panata, pane bollito, che stasera sto meglio». Ma invece son venuti a prenderla col camioncino, perché si è dovuto chiamare il medico militare e non so come hanno saputo, non posso dire proprio preciso. Insomma han saputo, son venuti sul portone, sul cancello, han fatto un segno con la calce e quello vuol dire che lì c'era il colera.
Loro ci avevan riempito di pidocchi, di dissenteria, di ogni sorta. Son venuti col camioncino a prenderla e l'han portata in lazzaretto a Cormons, che era più giù di Cormons. Fra Brazzano e Cormons sono circa due km, ma un po' più giù di Cormons saranno stati tre km.
Mio papà, con tutti i bambini che aveva, con tutto il lavoro che avevano - era pazzo per sua mamma - è saltato su, sul camioncino ed è andato via con lei, è stato via tre giorni, è tornato a casa: «La nonna non c'è più!»
E io ero pazza per la mia nonna, avevo solo la nonna, perché mi voleva tanto bene, e mi coccolava. E io ... è venuto casa che le han dato ... stava bene e le dice a mio papà: «Andrea, dille che andiamo a casa, che io sto bene». Invece son venuti lì, han domandato l'età che ha. Aveva 74 anni, le han portato una pilloletta a lei e a quella vicina. Quella vicina l'ha presa e l'ha buttata sotto il letto e lei invece l'ha presa: un'ora dopo era già morta. Sì, avvel... i vecchi li scartavano così! E' stata avvelenata, avvelenata, certo. Facevano così, facevano morire quelli più vecchi.
Mia nonna si chiamava Maddalena. [47:37 - fine brano e cassetta]

Nastro 1998/23 - Lato B        [ da 19:33 a 33:23] su cassetta originale               28 dicembre 1998

Nel 1917-18, nei campi di concentramento di quel signore, da Zorzon, erano tutti concentramenti di prigionieri, russi, di tutte le... erano prigionieri [...] e morivano di fame. Se gridavano li legavano e li battevano. Erano proprio di fronte a noi, tutti questi prigionieri, e gridavano perché li battevano fino alla morte. Insomma li pestavano, li legavano attorno a un palo e li battevano a tutto andare. 
Si sentiva gridare, urlare e tanti morivano. E a noi ci davano, attraverso il fosso, la gavetta con dentro dei topi, foglie di cipolla, bucce di patate, da far bollire. Io mi ricordo, mi facevano pena e portavo casa e mia mamma diceva: «Non portare questa porcheria!» Ma loro morivano e io...
Noi si era talmente vicino, quando han preso Gorizia, si era talmente vicino al fronte, che alla sera si andava sul poggiolo che si aveva e si vedeva il mitragliamento: dalle trincee là vicino a Gorizia, del Monte San Michele, del Monte Santo.
Si vedeva tutto il fuoco, il mitragliamento.
Era come uno spettacolo, ma doloroso; ma noi bambini si diceva: «Andiamo a vedere che adesso mitragliano». E si vedeva il cielo tutto toc...toc...toc...toc... così, le schioppettate. Eravamo vicini, vicini ... tutto il mitragliamento. È una cosa incredibile! Dopo, il 16 agosto han preso Gorizia, erano andati un po' più avanti...
La vigna davanti a casa era di vino nero e vino bianco, del signor Zorzon, campi di frumento e campi di biava, ma dopo era tutto raso, in tempo di guerra, con la gente che c'era dentro, con i campi di concentramento, era tutto raso a terra.
I magazzini di munizione erano a Pòvia, era di là, per andare a Cormons; noi siamo Brazzano di Cormons.
Mio papà, quando hanno preso Gorizia ... io ero a letto, perché, come le dico, ero disperata per mia nonna. Non volevo mangiare, da un anno non volevo mangiare. La nonna è morta del '15 in agosto e io del '16 stavo morendo, proprio, di tanta debolezza e di tanto sfinimento. È venuto su il medico e mi ha scacciata ... e mio papà è venuto su e mi fa: «Maria, sta contenta Maria, guarisci Maria. Sai che han preso Gorizia, gli italiani!» 
Ma aveva una rabbia! Lui non voleva sentire degli italiani; ma lui in scherzo, così: «Sai che abbiamo preso Gorizia, Maria! Ormai siamo italiani, Maria!».
Non voleva saperne dell'Italia. Si stava bene con l'Austria, perché si aveva lo zucchero, il caffè, i tabacchi. Facevano continuamente i contrabbandieri. 
Di notte, gli italiani di là, di Visinale, di Dolegnano, di Corno di Rosazzo... La sera passavano il fiume e venivano di qua con i sacchi e riempivano di tutta questa roba e vendevano dopo in Italia, perché in Italia non davano zucchero, non lo si trovava.
Io avevo i miei nonni di là, e mia mamma - avevo 12 anni - mi mandava ogni giorno a portare qualcosa, perché in quell'anno che c'erano stati i tedeschi al Piave gli avevano portato via tutto, ed era una famiglia che stavano tanto bene. Allora noi, mio papà Andrea era tanto buono di cuore che ogni giorno mi mandava a portargli il latte, il caffè; ma caffè ormai non si trovava più, era un caffè misto con orzo, frumento. Noi si aveva ancora le mucche, si aveva i campi, si aveva la campagna. Gli austriaci ci lasciavano tutto. Solamente con il frumento ... si prendeva il frumento e si andava di notte al mulino a macinare e poi si nascondeva la farina. Noi si aveva sempre il pane bianco, se lo nascondeva in tutti i posti, sul fienile, dappertutto.
Prima della guerra, contrabbando. 
C'era la finanza austriaca di qua del ponte e quella italiana di là, ma loro passavano, perché il fiume era lungo. O qua o là riuscivano a passare e andavano a rifornirsi nei negozi, avevano già i posti. Andavano a rifornirsi nei negozi con i sacchi e passavano di là, di notte; non a casa nostra perché noi, prima della guerra, mio papà ha sempre lavorato la campagna. 
Prima erano insieme tre fratelli e due sorelle, han sempre lavorato, su terra e casa nostra, la vigna, l'orto, tutto nostro. 
Si stava bene, e di notte si andava a macinare, sia per la polenta sia per il pane. Si aveva sempre il pane bianco. Non si poteva vendere tutto il latte? Si mangiava il pane col latte. Eh sì, in tempo di guerra i miei sono stati bene anche con la seconda.
Tanto di quell'orzo, ma sacchi e sacchi di fagioli e di orzo che si dava alle bestie, quando c'era la sussistenza italiana, durante la prima guerra. La sussistenza  avevano requisito la stanza dove si teneva il vino, i prosciutti ... che si ammazzavano i maiali, due all'anno, due o tre, a seconda ... e ci tenevano lo stesso questa roba. 
Però avevano loro tutta la sussistenza: cioccolata, rum, tutte le cose da portare su al fronte, che ogni giorno andavano su con i muli. E noi si prendeva quello che ci serviva ... quello che si poteva sopportare, perché si era sciocchi ... magari prendevano di più mio papà e mia mamma. 
Noi bambini qualche goccio. Cioccolate sì, abbiamo preso anche un riscaldo, che dio ci guardi, mal di pancia, mal di stomaco...  [33:23 fine intervista]

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